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Capitolo estratto da "Sansepolcro 1943-1945" di Ilaria Aloigi Luzzi

LA CATTURA DI CINQUE.  

Successivamente scoprirono l’esistenza di un’altra formazione partigiana in Germagnano, costituita nel frattempo dal famigerato Cinque ovvero Ermete Nannei e da Trentasette ovvero Sergio Lazzerini, da poco tempo usciti di prigione per i fatti di Villa Santinelli.

Si trovarono così a coesistere due gruppi della resistenza, uno alla Montagna ed uno in Germagnano.

Quello della Montagna, nel quale militava anche Orlando, era rimasto sprovvisto del suo capo dato che il comandante Gimmi, era stato catturato dai tedeschi.

Occorreva riorganizzare la detta  formazione dall’inizio.

Athos ed Orlando si misero in contatto con Trentasette, per tentare di sganciarlo dal suo compagno Cinque, con l’allettante  promessa di capeggiare i combattenti  della Montagna. Tra i due mali dovevano scegliere quello minore. 

Cinque era stato già oggetto di pesanti sospetti, persino da parte del Comitato Provinciale di Liberazione che aveva già da allora impartito l’ordine, mai revocato, della sua eliminazione fisica, mentre Trentasette, per quanto misteriosa fosse la sua scampata fucilazione a Villa Santinelli, era ancora  indenne da un  mandato ben preciso.

Dopo aver contattato Trentasette gli spiegarono l’impossibilità di avere due formazioni combattenti nello stesso contesto, in quanto avrebbero procurato solo nocumento alle operazioni  della resistenza. In cambio di un suo aiuto a neutralizzare Cinque ovvero a consegnarlo alle Forze Alleate come prigioniero, gli promisero la sua elezione a comandante della loro formazione.

Inoltre lo avvertirono che le strategie di Cinque erano molto avventate.

Uccidere o  sequestrare  un soldato tedesco, per esempio,  avrebbe provocato soltanto dure rappresaglie da parte dei commilitoni una volta che, alla base, si fossero accorti della sua scomparsa.

Queste pericolose  manovre di Cinque indussero i patrioti della Montagna ad accelerare i tempi della unificazione delle due formazioni.

Alla fine Trentasette accettò di passare dalla parte di Athos e di tradire Cinque.

Si riunirono tutti per escogitare il modo di prendere Cinque e di farlo prigioniero, senza destare in lui alcun sospetto.

La situazione non era delle più agevoli dato che Cinque era continuamente affiancato da due fedelissimi tedeschi passati dalla parte nemica, che fungevano un po’ da guardie del corpo ed ai quali era impossibile far comprendere le loro ultime decisioni ed i piani strategici. 

Uno dei detti soldati era austriaco mentre l’altro tedesco ed entrambi  parlavano poco l’italiano.

Athos, Orlando e Trentasette  dissero a Ermete di voler discutere con lui e di attenderlo alla Montagna.

Il piano era stato già studiato e deciso in ogni particolare.

Mentre Cinque stava parlando con Orlando, sarebbero comparsi sulla scena due compagni che, estratta la loro pistola e puntatala su di lui, lo avrebbero costretto a disarmarsi ed a consegnarsi prigioniero.

Purtroppo il piano si avverò prendendo, come accade nella maggior parte dei casi, una differente piega.

Ermete, come stabilito, si recò nella mattina del 14 luglio alla Montagna, seguito dai due fedeli tedeschi e da altri della sua formazione.

Una volta giunti s’imbatterono tutti nella figlia del maestro Fabbrini, deportato in Germania, accompagnata dalla signorina Betti che possedeva  dei poderi da quelle parti ed era sfollata lassù con la famiglia.

Le due ragazze riconobbero Cinque e salutandolo lo invitarono in casa con il resto della compagnia. 

La situazione si complicò.

Da una parte Orlando, con i nervi tesi, fremeva nell’attesa di catturare Cinque e dall’altra Cinque, ignaro di quanto il destino gli stava riservando, si intratteneva a chiacchierare amabilmente con le due conoscenti. 

Orlando tentò più volte, con lo sguardo ammiccante, di indurre i due amici a tirare fuori la pistola, come da copione,  ma questi un po’ non capirono ed un po’ rimasero imbarazzati dalla anomala situazione.

Trascorsa una mezzora,  finalmente uscirono tutti  dalla casa delle giovani amiche.

Orlando, con il cuore in gola, preoccupato sia del fallimento dell’operazione sia di un esito disastroso con una reciproca sparatoria,  invitò la compagnia a recarsi allo spaccio di Baffino  per prendere qualcosa da bere.

Entrarono tutti nel piccolo negozio ed Orlando ricominciò a guardare in modo ammiccante e significativo i due compagni perché tirassero fuori le armi, ma questi di nuovo non compresero.

Allora  Orlando colto dalla rabbia, uscì fuori e vi trovò il caro amico Dino Gennaioli, soprannominato

“ Unghino “, non più rivisto da tempo, con una barba che pareva un gorilla ed indosso una “ pistol machine “ ovvero un mitra.

Dopo essersi salutati,  Orlando, senza dargli la dovuta spiegazione che avrebbe portato via altro tempo prezioso, disse ad Unghino di entrare con lui dentro il negozio e di puntare il mitra contro Ermete.

Unghino,  patriota  d’azione senza paura, non se lo fece ripetere due volte.

Entrò,  puntò il mitra e tolse a  Cinque l’arma che teneva in vista su di un fianco.

A nessuno venne in mente in quel frangente di perquisirlo da capo a piedi, per scoprire se teneva nascosta un’altra pistola.

Ermete fu costretto ad uscire dallo spaccio con le braccia alzate, seguito dal resto dei compagni, circa sette di numero, ora  divenuti i suoi veri nemici.

Questi, conducendolo verso la parte più alta della Montagna, lo tranquillizzarono manifestandogli la loro volontà di farlo prigioniero e di non arrecargli alcun danno.

Arrivati ad un capanno lo fecero entrare per sistemarlo nella parte più interna.

Purtroppo la capanna  non aveva alcuna finestra  e lì dentro regnava il buio più assoluto, benché fuori il sole fosse ancora alto nell’orizzonte.

Era stato intanto mandato fuori  Sguillo, per procurarsi una corda onde legare il prigioniero.

Orlando e gli altri, con le pistole spianate, si trovavano all’inizio della porta d’ingresso, mentre Cinque era dentro in una zona al  buio completo.

Ad un certo punto sentirono uno sparo venire dal fondo del capanno dalla parte di Cinque e prontamente risposero con una raffica di fuochi.

Questo Cinque aveva nascosta sulla schiena un’altra arma, che tirò fuori agevolato dalla assenza di luce nell’ambiente e, sparando contro il gruppo dei suoi nemici, colpì Athos. 

La situazione precipitò fulmineamente.

Sguillo non fece in tempo a fare dieci metri, che udì tutti quei colpi d’arma da fuoco.

Quando ritornò di corsa alla capanna e vide i suoi compagni insieme al cadavere di Ermete riverso per terra, rimase stupefatto dalla velocità dell’evento.

Athos Fiordelli rimase ferito al torace ed al braccio sinistro.

Ebbe anche fortuna, poiché il proiettile si sarebbe potuto conficcare nel suo cuore.

Ermete, invece, fu ucciso da tutti quei colpi di pistola e con lui morì il segreto del processo dopo la strage di Villa Santinelli.

Aveva soltanto venticinque anni.

Sicuramente egli sapeva che prima o poi avrebbe avuto quella sorte.

Orlando ricorda che un giorno, mentre stava pulendo le armi fuori del capanno alla Montagna con Sguillo e Adriano Pigolotti, arrivò  Cinque a cavallo e, con un fare minaccioso, puntò la rivoltella contro di loro.

Orlando si alzò e  dirigendosi arrabbiato verso di lui,  gli disse di smettere di agire in quella maniera, poiché stavano tutti dalla stessa parte e di usare invece quella pistola contro i nemici.

Fortunatamente Cinque mise giù l’arma,  ma cercò di spaventarlo dicendogli “ attento biondino “, facendogli capire che riconosceva in  lui la persona che tempo addietro aveva portato l’ordine di farlo fuori.

In quei momenti i grilletti delle pistole venivano premuti molto facilmente, dato che il colpevole rimaneva esente da qualsiasi punizione.

Orlando, dopo quell’avvertimento, capì che avrebbe sempre  rischiato di essere ucciso proprio da lui.

Il cadavere di Cinque fu messo in una delle famigerate casse lunghe che prima erano state usate per contenere e trasportare il sapone di Marsiglia allo spaccio di Baffino.

Queste casse vennero utilizzate per seppellire in seguito molti altri  antifascisti e persone uccise dai nazisti.   

 

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